Secondo il modello psicodinamico l’anoressia è la conseguenza di una relazione patologica tra madre e figlio/a.
In epoca precoce la madre risponderebbe alle richieste del neonato in modo disfunzionale e inadeguato, con conseguente mancato apprendimento da parte del neonato della capacità di riconoscere adeguatamente i bisogni del proprio corpo come la fame e la sazietà.
La relazione primaria patologica genererebbe difficoltà nella costruzione dei confini dell’Io e dell’immagine del proprio corpo e ciò spiegherebbe la distorsione dell’immagine del sé corporeo che si osserva nelle anoressiche che si percepiscono sovrappeso quando sono sottopeso.
Successivamente, in epoca preadolescenziale e adolescenziale la madre viene percepita come intrusiva e controllante, incapace di riconoscere l’autonomia identitaria, di accettare lo sviluppo corporeo e sessuale, di valorizzare il figlio/a per le proprie attitudini e potenzialità.
Ciò genera nel soggetto anoressico il tentativo di affermare la propria identità attraverso il controllo dell’alimentazione, dunque del corpo, poiché in senso simbolico il cibo rappresenta il link primario tra madre e sé.
Tutto ciò che riguarda gli istinti (come fame e sessualità) costituisce un pericolo per l’integrità del sé e viene negato, nel tentativo estremo di controllo sul proprio corpo, in alternativa alle difficoltà di governo fisiologico sulla propria mente.
Le cause dell’anoressia non sono organiche e/o genetiche, ma insite in dinamiche relazionali precoci. Per questo necessitano di interventi terapeutici profondi e duraturi, associati a interventi più “concreti” e immediati, come quelli comportamentali e farmacologici.